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SIMONE ZACCHINI | ARETINO DI AREZZO | FILOSOFO

"La filosofia è un atteggiamento di vita, una prospettiva sul mondo e sulle cose, e un metodo di pensiero."

C’è un punto che accomuna tutte le storie che mi ritrovo ad ascoltare e raccontare: la passione travolgente dei protagonisti che irrimediabilmente lascia il segno anche su di me. Con Simone Zacchini (Arezzo, 18 gennaio 1969), Ricercatore in Storia della Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena, è stata una conversazione di quelle che non si concludono quando ci si saluta e si torna ognuno alla propria vita. Piuttosto si ha l’impressione che certe finestre siano rimaste aperte e si avverte l’urgenza di guardare cosa c’è fuori. Fuori, si, perché seguendo certi spunti la realtà assume un’altra forma rispetto a quella che gli diamo istintivamente. Non solo a quel che siamo noi, anche a tutto il resto.

Sorseggiando caffè e cercando di fare a Simone le domande giuste, mi si sono aperti davanti agli occhi percorsi attraverso epoche e metodi, la disgregazione dei linguaggi e il concetto di libertà. Parlare oggi di Filosofia seduti in un bar del centro può apparire anacronistico, invece con Simone è naturale, è la sua materia, è la sua vita. Le sue parole scivolano senza discostarsi troppo dal reale e senza l’uso di virtuosismi.

Orgogliosa e soddisfatta di aver trascinato Simone Zacchini fuori dalla sua caverna per più di un’ora per farmi raccontare la sua storia, riordino gli appunti e le immagini ascoltando Mozart, Piano Sonata No. 18 in re maggiore K. 576.

Da dove nasce l’urgenza di coniugare Musica e Filosofia? Quando parli di Musica a cosa ti riferisci?

Musica e filosofia sono un binomio che la storia del pensiero occidentale ha coniugato fin dall’inizio, dalla scuola pitagorica, a Platone fino ai giorni nostri. Nel corso delle mie letture sono sempre stato affascinato dalle similitudini di due linguaggi apparentemente molto distanti. Parlare di musica e di filosofia, spesso, significa usare due lingue diverse per dire la stessa cosa. Così, quando parlo di musica, è come se esprimessi pensieri che sono veicolati da note sul pentagramma e non da concetti definiti.

"Parlare di musica e di filosofia, spesso, significa usare due lingue diverse per dire la stessa cosa."

Hai frequentato il liceo classico con indirizzo musicale e in quegli anni la tua priorità era la Musica più delle altre discipline, che ti davano minore soddisfazione personale/intellettuale probabilmente. Hai dunque proseguito con il Conservatorio, ma poi sei “ricaduto” nella Filosofia. Cosa è successo in quegli anni?

Ricordo gli anni al Liceo musicale sempre con grande piacere. Sono stati anni molto formativi, sebbene non facili. Al Liceo ho scoperto la musica come socialità, condivisione, espressione e dono di sé. Studiare con un maestro privatamente comporta spesso una visione parziale della musica. Al Liceo il confronto e lo stimolo dei compagni, la musica d’insieme, le occasioni di suonare, la competizione sono fondamentali per la crescita. Ho poi terminato gli studi al conservatorio diplomandomi in pianoforte e solo dopo ho intrapreso l’università. Qui ho conosciuto un filosofo, Domenico Antonino Conci, prima ancora della filosofia, un uomo che mi ha fatto scoprire la passione per le domande profonde e per la ricerca del significato delle cose. Qui ho incontrato la filosofia, che è una cosa ben lontana dalla storia che si fa alle superiori. In realtà non sono “ricaduto” nella filosofia… l’ho semplicemente scoperta.

Mi hai parlato di Nietzsche filosofo e compositore, sostenitore di un’idea di musica come funzione rigeneratrice delle forze dell’uomo. A cosa si riferiva?

Alla possibilità di esprimere se stessi con un linguaggio diverso e più profondo di quello concettuale. Laddove le parole si arrestano la musica può intervenire e colmare la distanza con il mondo, prima di tutto interiore, poi attorno a noi. E questo è rigenerante, potente, entusiasmante.

Cosa può dire una composizione musicale in campo filosofico? E’ possibile usare la musica per raccontare un’epoca? E cosa significa servirsi della fenomenologia in questo contesto?

Questo è il punto centrale della mia ricerca: usare la musica come testo non solo artistico, ma anche storico, come uno specchio di un’epoca, come uno dei tanti modi di esprimersi che veicolano, oltre che una forma di bellezza senza tempo, anche il contesto storico entro il quale sono stati pensati. Se si parla della razionalità tardo illuminista, ad esempio, di solito si fa appello a Kant, ma credo che anche una Sonata di Mozart esprima il senso dell’epoca altrettanto chiaramente, con le sue strutture a priori e il primato della forma sul contenuto. Questo tipo di analisi è fenomenologico, un metodo di lettura anziché una dottrina. Una ricerca, attraverso i vissuti, dei significati che diamo alle cose.

"...mai come in questo caso il lavoro ricompensa se stesso. Non potrei far altro nella vita e sono felice e fortunato ad aver coniugato lavoro e passione."

Tornando a te, non è stato tutto così facile ed immediato. Nei tuoi progetti c’era un obiettivo da raggiungere e per ottenere determinati risultati occorreva che ti votassi quasi completamente alla causa: studiare molto, crearsi un bagaglio di pubblicazioni meritevoli, sostenere concorsi in tutta Italia. E’ stato un sacrificio o, come è venuto fuori parlando, una scelta quasi monacale?

Niente è mai facile oggi, niente è regalato. Ho fatto come tanti miei colleghi: viaggi, concorsi, scuole di perfezionamento, incontri, e tanto lavoro. Ma mai come in questo caso il lavoro ricompensa se stesso. Non potrei far altro nella vita e sono felice e fortunato ad aver coniugato lavoro e passione.

Preferisci un libro e stare a casa a studiare piuttosto che buttarti nella vita mondana a costo di apparire scontroso (parole tue), ma ami condividere la tua conoscenza, coinvolgere il maggior pubblico possibile organizzando seminari gratuiti, incontri ed eventi culturali di musica e filosofia, come i talks al mercatino delle pulci, le serate a Castelsecco e addirittura un progetto in carcere. Fammi capire.

Non c’è da capire. Sono due ambiti molto distanti la mondanità e la condivisione delle proprie conoscenze. Un po’ come tra apparire ed essere. A me non interessa “apparire”, non mi dice un granché la vita mondana, la chiacchiera, la parola vuota, le etichette, le frasi fatte; stare con altri per paura di star soli non è qualcosa che mi appartiene. Ci deve essere qualcosa che mi convinca ad uscire e posare i libri. Non sono fatto per la vita quotidiana. Tuttavia non ritengo che tutto debba iniziare e finire con me. Credo di aver maturato qualche idea, qualche prospettiva utile a far riflettere e non mi risparmio quando c’è da comunicarla, da confrontarsi con altri, da discutere seriamente sulle cose. In fondo è lo schema del mito della caverna di Platone: il filosofo non ha solo il compito di uscire dalla caverna per vedere il mondo con occhi diversi, deve poi anche tornare nella caverna per aiutare gli altri a cambiare e trasformare se stessi. Da qui tante idee di incontro, in particolare quella sul carcere.

Ad novembre uscirà un tuo libro su Nietzsche, probabilmente a dicembre una pubblicazione a quattro mani con un noto medico chirurgo aretino con il quale hai affrontato il tema del cancro. La filosofia non ha confini.

La filosofia è un atteggiamento di vita, una prospettiva sul mondo e sulle cose, e un metodo di pensiero. Non è legata ad un tema particolare, almeno io non la concepisco così. A me piace esplorare molti ambiti, e sondare la possibilità di applicare una lettura filosofica laddove il mio interesse viene colpito. A volte non è possibile, altre invece portano ad un dialogo fecondo con professionisti, come in questo caso con il mondo medico. Il tema del cancro è un tema sul quale c’è ancora molto da dire, soprattutto a livello di immaginario sociale e personale. Vedere come nel corso dei secoli si è trasformato il suo senso è un altro modo di ripercorrere la nostra storia. E il dialogo con la prospettiva biologica e medica è fondamentale. Il filosofo non diventa un oncologo perché riflette sul cancro, si appoggia ai dati che gli scienziati forniscono per trarre conclusioni diverse da quelle degli operatori e degli esperti, perché diverse sono le sue domande. Per questo un libro del genere è, e non potrebbe essere altrimenti, a quattro mani.

"Ci sono obiettivi che non ci si pone perché razionalmente scelti. Sono qualcosa come una spinta interiore, un demone, una irresistibile tendenza. "

A posteriori, come vedi la tua impresa di perseguire un obiettivo così particolare, poco comune, diametralmente opposto alle tendenze contemporanee (leggi “voglio diventare calciatore, attore, top manager, ecc.”).

Ci sono obiettivi che non ci si pone perché razionalmente scelti. Sono qualcosa come una spinta interiore, un demone, una irresistibile tendenza. Sento che non potrei mai essere pienamente inserito nelle linee comuni del nostro tempo. Non mi interessa accumulare denaro, non mi interessa fare politica, non mi interessa cercare consensi. Non ho nulla da vendere, non ho nessuno da convincere. La mia vita non la vedo né a priori, né a posteriori. Ci sono nel mezzo e cerco di navigare con la mia barchetta, quella che il destino mi ha dato, ben sapendo, come scrive un filosofo tedesco, che non ci sarà alcun porto dove fermarsi per riparare la nave: siamo costretti a farlo navigando.

La citazione che ti rappresenta.

Vista la domanda precedente, mi viene in mente una frammento di Eraclito: «Demone a ciascuno è il suo modo di essere». Tuttavia faccio mio un principio espresso dagli stoici greci: «Non è importante la filosofia, ma il vivere filosoficamente»

CHI E' SIMONE ZACCHINI

Nato ad Arezzo il 18 gennaio 1969, consegue la maturità classica ad indirizzo musicale nel 1989, il diploma in Pianoforte al Conservatorio di Firenze nel 1993 e la laurea in Pedagogia presso l’Università di Siena nel 1995. Nel 2003 consegue il dottorato di ricerca in Filosofia, presso l’Università di Roma III. Nel 2004 ha un contratto di insegnamento presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Siena sede di Arezzo. Ha seguito corsi di specializzazione e perfezionamento in molte sedi universitarie italiane ed europee. Nel 2007 risulta vincitore di un concorso da ricercatore in storia della filosofia a tempo indeterminato e da allora svolge regolarmente lezioni e ricerca presso il dipartimento di Arezzo (università di Siena). Insegna Storia della filosofia e Storia della musica. Il suo interesse riguarda la filosofia di Nietzsche e la fenomenologia, con particolare attenzione alle pratiche filosofiche. Ha pubblicato oltre cinquanta articoli su riviste e sei libri, tra i quali: Al di là della musica. Friedrich Nietzsche nelle sue composizioni musicali (Milano 2000), Stravinsky. Caos, nulla, disincanto (Padova 2002), L’altra voce del logos. Filosofia, musica e silenzio in Vladimir Jankélévitch (Torino 2003), Il corpo del nulla. Note fenomenologiche sulla crisi del pensiero contemporaneo (2005) e La collana di Armonia. Kant, Poincaré, Feyerabend e la crisi dell’episteme (Milano 2010).

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