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FRANCESCO CAREMANI | ARETINO DI AREZZO | GIORNALISTA E SCRITTORE

"Credo che il giornalismo sia anche questo, stare con la testa dentro le cose, confrontarsi quotidianamente con gli altri. "


People from Arezzo-Italia-Mondo ha invitato Francesco Caremani (nato ad Arezzo, dove vive e lavora), giornalista freelance, social media editor e comunicatore, a parlarci della sua esperienza e a formulare alcune riflessioni sulla sua vita professionale abbinata ad aspetti del privato. Il risultato è un insieme di spunti e sollecitazioni, una chiara visione sulla professione del giornalismo e della scrittura, quando si crede in ciò che si fa e lo si porta avanti con tenacia e ambizione. Non traccia linee definitive, non chiude la sua esperienza in affermazioni statiche. Delinea piuttosto una tensione evolutiva, che restituisce la sensazione che ogni punto d'arrivo è insieme punto di partenza verso altri orizzonti.

PEOPLE FROM AREZZO. Oggi sei giornalista e scrittore stimato, quando e come hai capito che questa era la tua strada?

FRANCESCO CAREMANI «Stimato non lo so, di sicuro sono un giornalista e ho fatto tanta fatica per diventarlo. Tempo fa ho ritrovato dei quaderni di quando andavo alle elementari (a Tegoleto), nei quali raccontavo la partita vista la domenica, con tanto di disegni degli spalti e delle squadre in campo, disegni brutti a dire la verità, ma quella è la prova che ho sempre voluto fare questo lavoro. Non so se capiamo che quello che stiamo facendo è la nostra strada, anche perché noi siamo la generazione che non è mai stata presa per mano da quella precedente, nessuno ci ha voluto insegnare, nessuno ci ha voluto confidare i segreti del mestiere, nessuno ci ha detto bravi altrimenti avrebbe messo a rischio la propria posizione. Quando fai una cosa la fai perché ti piace, perché senti che non saresti capace di fare altro (e non vuoi fare altro), tra dubbi, sconfitte, frustrazioni. Ecco, io conosco bene il senso della sconfitta, forse è per questo che ho grande rispetto per le fragilità altrui, è per questo che le vittorie sono rapidi momenti di felicità per ributtarsi poi nel lavoro e sporcarsi le mani ogni giorno. Credo che il giornalismo sia anche questo, stare con la testa dentro le cose, confrontarsi quotidianamente con gli altri. Se morirò giornalista potrò dire, allora, che quella era la mia strada».

PFA. Cosa ti ha incoraggiato e cosa invece ha innescato in te il dubbio nell’intraprendere questa professione? Hai dovuto sacrificare altri progetti? Hai dovuto accettare compromessi?

FC «Per quanto le persone che ami e che ti amano possano darti forza e coraggio, è dentro di te che trovi le motivazioni, ognuno di noi ha un motore, può essere la fame, la rabbia, l’ambizione, il metodo, a volte tutte queste cose insieme, a volte una sola, ma l’accensione avviene in solitudine, quando pensi di aver perso l’occasione della vita, quando credi che le cose non stiano andando come immaginavi, di notte, di fronte allo schermo del computer (solo Mac), è lì che ti ritrovi o ti perdi. Io volevo fare il giornalista sportivo, non avevo un’opzione B, non avevo altre idee che questa e l’ho perseguita (la sto perseguendo) con determinazione. Ho iniziato ventidue anni fa (19 marzo 1994) e sicuramente m’immaginavo un cammino diverso, perché non avevo elementi sufficienti per comprendere alcuni mutamenti; diciamo che oggi ho più libertà d’azione (a volte anche il lusso di staccare quando decido io, perché nel mondo in cui viviamo è un lusso sfrenato) e meno sicurezza economica. Ogni tanto mi chiedo cosa avrei fatto in un’altra vita, cosa avrei fatto se non avessi scelto di diventare un giornalista… panico. Mi sarebbe piaciuto fare il vino, ci sono coetanei che stanno producendo etichette eccellenti. Compromessi? Non saprei rispondere, sicuramente se ne avessi fatti tanti occuperei un’altra posizione, probabilmente sarei assunto in qualche testata invece che fare il freelance. Io credo che la vita sia una serie d’incroci, a ognuno scegli, decidi dove andare, da solo o con chi ha deciso di fare un pezzo di strada con te e questo vale sia per il lavoro che per l’amore e la famiglia, la domanda quindi è: le scelte sono compromessi? A volte si tratta di accettare la realtà, né più né meno».

"Credo che molti nemmeno sappiano che faccio il giornalista, alcuni mi chiedono se lo faccio ancora, come se fosse un divertissement..."

PFA. Cosa pensi di Arezzo: una città di provincia è un limite o la giusta incubatrice per grandi progetti?

FC «Mi piacerebbe sapere cosa Arezzo pensa di me… Ho vissuto alcuni anni a Bologna, ho conosciuto Roma e Firenze, Arezzo è la mia città, sono nato qui e tutte le volte che mi presento, nei libri come nei dibattiti pubblici, rivendico le mie radici, da quelle non si scappa mai e ci si deve fare i conti. Non so se sono riuscito a farli completamente, l’esperienza del settimanale (AREZZO, ndr) non mi ha aiutato in questo anche se mi ha fatto capire una città che di fatto non conoscevo, avendo abitato venticinque anni a Tegoleto. La provincia ha il suo fascino, la sua corazza, e può essere incubatrice di sogni e progetti, ma può essere anche la fine della fermata. Quando ho comprato casa l’ho scelta a pochi minuti dalla stazione, era un’idea, quella di poter partire in ogni momento per lavoro e poi tornare da mia moglie e dalle mie figlie, facile a dirsi, più complicato nella realtà, faticoso. Chi studia, chi ha ambizione deve andarsene, deve viaggiare, sperimentare, conoscere, confrontarsi con la metropoli, imparare, assimilare, poi si può anche tornare non pensando però che qualcuno ti abbia tenuto il posto, anzi. Credo che molti nemmeno sappiano che faccio il giornalista, alcuni mi chiedono se lo faccio ancora, come se fosse un divertissement. A volte, invece, è una questione di malafede, non ti riconosco il ruolo, non riconosco quello che hai fatto fuori di qui in tutti questi anni, quindi perché dovrei darti un lavoro? Perché dovrei darti una chance? La vita è sempre una battaglia, ad Arezzo come altrove».

PFA. C’è un piano, uno schema da seguire, per ottenere risultati concreti nel giornalismo? Quanto “costa” la ricerca della verità?

FC «Cito Andrew Jennings, reporter investigativo scozzese di 72 anni: “Il giornalismo è una cosa semplice. Devi solo trovare persone disonorevoli, spregevoli e corrotte, e lavorare su di loro. Il nostro lavoro è investigare, trovare prove”. Vero, ma nella realtà di tutti i giorni è molto più complicato. Io non ho uno schema, a volte si scopre qualcosa, altre ci s’imbatte in una storia e andiamo avanti, la seguiamo, la raccontiamo. Sicuramente bisogna essere curiosi, non avere pregiudizi, liberarsi dei luoghi comuni, svuotare la tazza come direbbero gli orientali. Quando penso al giornalista penso a colui che deve raccontare il presente guardando al futuro senza mai rifiutare niente per partito preso, i giornalisti che rifiutano Internet o la tecnologia come possono raccontarli?! La verità costa, nel mio piccolo (infinitesimo), raccontare le verità sull’Heysel ha avuto il suo peso, di rapporti e di carriera che non starò qui a raccontare. E stiamo parlando di una tragedia legata al calcio con responsabilità evidenti e documentate. Provate un attimo a pensare chi scrive di criminalità organizzata o corruzione, è a quei livelli che la verità si paga, spesso anche con la vita. Non è più solo passione e gusto per il lavoro, è una scelta dalla quale non si torna indietro».

PFA. A questo punto ti chiedo: cos’è per te la verità?

FC «La verità è quello che non ci vogliamo sentir dire. Quindi ascoltare solo chi la pensa come noi o leggere solo i giornali che confermano le nostre poche certezze non ha niente a che vedere con la verità. Poi ci sono i social, i trend, i topic, gli hashtag, il gregge segue sempre qualcosa».

PFA. La più grande soddisfazione lavorativa a oggi.

«Il terzo posto agli Sport Media Pearl Awards di Abu Dhabi, gli Oscar del giornalismo sportivo mondiale. Non per i 5.000 dollari del premio, ma perché è la certificazione, nero su bianco (sto ancora aspettando l’attestato), della qualità del mio lavoro, volevo diventare un giornalista sportivo, sono riuscito a farlo ai massimi livelli. Di complimenti ne ho ricevuti, ma di incarichi o di chance vere pochissimi. E i complimenti troppo spesso servono solo a spostare l’attenzione, a dirti bravo ma ora spostati perché sta arrivando quello (o quella) per cui è stato prenotato il viaggio in prima classe. Hai visto bello il treno? Bravo, ma ora scendi. Il premio invece non te lo toglie nessuno e resta lì a testimonianza di quello che hai saputo fare concretamente».

PFA. Tre caratteristiche fondamentali per fare del buon giornalismo oggi.

FC «Quattro: umiltà (quando si lavora in piccole realtà si devono fare cose che uno che sogna di scrivere non avrebbe mai pensato di dover fare, come mettere a posto delle foto o pulire per terra), voglia, competenza (non solo giornalistica) e talento».

"Alla fine, come in tutte le cose, è una continua ricerca di equilibri."

PFA. Hai una bellissima famiglia, tua moglie e due figlie: cosa rappresentano per te, nella tua professione che richiede momenti di particolare pressione e comunque uno stile di vita non proprio lineare, penso al periodo prima dell’uscita di un libro o subito dopo, in cui vieni completamente assorbito dal tuo lavoro.

FC «Mia moglie, ogni tanto, mi vede entrare nello studio la mattina e mi vede riemerge la sera, mi guarda e mi dice “Mi sei mancato”. Mi prende in giro… per scrivere bisogna comprendere bene l’argomento, quasi come un attore che studia il personaggio, starci con la testa. Non sempre è facile spiegare che quando si scrive e si è presi completamente anche una banale interruzione può essere fastidiosa, perché si rischia di perdere il filo del discorso, perché per riprendere da dove eravamo rimasti può passare anche un’ora, in questo la notte aiuta. Lavorare in casa ha i suoi pro e i suoi contro; anche poter accompagnare e riprendere le figlie a scuola è un lusso, oggi che molti sono costretti a portarli prima della campanella per entrare al lavoro e lasciarli con i bidelli. Alla fine, come in tutte le cose, è una continua ricerca di equilibri. Adesso ho due figlie che mi adorano, non entrano quasi mai nello studio, guardano il mio computer come fosse una scatola magica, un giorno si renderanno conto che sono solo un coglione qualsiasi che ha cercato di raccontare delle storie (ride, ndr). Alle mie donne è riservata la parte migliore di me e sono bravissime a riportarmi con i piedi per terra…».

PFA. Una citazione che ti rappresenta.

FC «Due: “Siate gentili con la gente mentre salite, perché la incontrerete di nuovo mentre scendete” e “La partita non la vincono gli eroi giovani e belli. La partita la vince chi resta sul campo quando gli altri ne hanno avuto abbastanza. E di solito a resistere un secondo più a lungo sono gli stortignaccoli, le vesciche di grasso, i ragionieri, i meschini che non gli daresti una lira”».

PFA. La tua professione è la tua passione?

FC «La passione è un combustibile importante per il motore che poi ti fa fare quello che desideri, il lavoro che sognavi. Come accade a tanti, nei vari mestieri, succedono spesso cose che la mettono in crisi, fino a quasi prosciugarla. In realtà è sempre lì, dietro l’angolo, quando hai il sacro fuoco per qualcosa è difficile che si spenga. La passione, però, da sola non basta, poi serve altro, maturità, consapevolezza, autostima (per me la cosa più difficile). Se oggi mi dici passione penso alla mia famiglia prima che al lavoro».

"A volte mi guardo intorno e mi dico “è un mestiere finito”, poi penso che hanno fatto così con me per non aiutarmi, per spiazzarmi in continuazione, per farmi sbagliare strada"

PFA. Un consiglio concreto per chi pensa di intraprendere la tua stessa strada o comunque per chi ha in mente un progetto che richiede punti di vista trasversali, come il giornalismo appunto, che esige massima credibilità e quindi coerenza.

FC «Pensare di fare il giornalista come vent’anni fa è sbagliato e fuorviante, a meno che non si abbia già quel posto in prima classe prenotato, ma sono rimasti pochi anche quelli. Oggi non si richiede solo la scrittura, ma la capacità di fare video, la conoscenza reale dei social media, competenze digitali sempre più complesse, l’inglese come prima lingua (è una battuta, ma fino a un certo punto). Una volta bastava una macchina da scrivere, oggi non basta un computer. Si può arrivare al giornalismo da altre strade, per citarne alcune lo scienziato dei big data, l’analista di dati, capace poi di raccontarli con semplici infografiche. A volte mi guardo intorno e mi dico “è un mestiere finito”, poi penso che hanno fatto così con me per non aiutarmi, per spiazzarmi in continuazione, per farmi sbagliare strada e io non ho voluto fare così invece con chi mi ha chiesto un consiglio. Chi mi conosce lo sa, io sono sempre disponibile e quando restano stupiti dal mio comportamento dico sempre: “faccio quello che non hanno fatto con me”. È un punto di principio. Più credibilità che coerenza, perché è giusto avere dei valori più che delle idee, e si può rispettare i propri valori pur cambiando idea sulle cose, che sono come sono non come vorremmo che fossero. Odio quei capi che hanno il titolo in testa e che ti chiedono il pezzo di conseguenza, sono degli stolti che non conoscono la realtà, rinchiusi nel loro articolo 1 e nelle loro redazioni. Prima ci si sporca le mani, si cerca di capire le cose, poi si decide cosa e come scrivere. Infine, ci sono le persone che non si rendono minimamente conto della differenza che c’è tra dire una cosa e vederla poi pubblicata, ma tanto è tutta colpa del giornalista».

PFA. Anticipazioni di progetti futuri?

FC «Scrivere e morire da giornalista. Scherzi a parte, alcuni progetti indefiniti. Però presto dovrebbe uscire la ripubblicazione di un mio libro “Il calcio sopra le barricate”, non vedo l’ora».

Francesco Caremani, giornalista freelance, social media editor, comunicatore, collabora, tra gli altri, con Il Foglio. L’ultimo testo pubblicato con Bradipolibri: «HEYSEL – Le verità di una strage annunciata». Terzo classificato agli Sport Media Pearl Awards 2015, gli Oscar del giornalismo sportivo mondiale, nella categoria Writing Best Column. Nato ad Arezzo il 30 novembre del ’69, sposato con Lucia, è padre di Alice e Alessia.
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